Ci scrivono

Saluto a Velehrad, Cechia (di Angelo Levati)

settembre 2015

Carissimi amiche e amici della K.A.P.,

sono diversi anni che ci invitate e noi molto volentieri affrontiamo un viaggio di 1.000 Km per venire da voi. Fare un viaggio è sempre l’inizio di un progetto, come lo fu per Abramo da Ur in Caldea per fondare un nuovo popolo, come lo fu per l’intero popolo ebreo dall’Egitto verso la Terra Promessa.

Ci siamo incontrati la prima volta a Francoforte sul Meno nell’ottobre 1998, quando una delegazione delle ACLI della Lombardia è stata invitata per il 90° di fondazione della K.A.B. che già da tempo teneva rapporti con noi, data la vicinanza con gli emigrati italiani in Germania. In quell’occasione abbiamo incontrato alcuni vostri colleghi assieme a componenti di altre associazioni europee.

L’anno seguente, e per diversi anni, una vostra delegazione è stata ospite a Motta di Campodolcino per partecipare alle settimane seminariali in quell’incantevole posizione alpina alla bella altezza di 1.700 m., fino all’appuntamento del mese scorso per la visita all’EXPO a Milano; e voi, dall’anno 2000, assieme al compianto Alessandro Colombo, ci invitaste a Benesov, poi all’Università di Praga per il vostro incontro annuale che, da ormai più di un decennio, si tiene qui a Velehrad presso questo santuario storico dove 1.150 anni fa passarono Cirillo e Metodio che, assieme a Benedetto e a Ildegarda di Bingen sono protettori di quell’Europa dei due polmoni che va dall’Atlantico agli Urali.

Quest’anno ricorre pure il 600° anniversario della condanna del vostro connazionale Jan Hus, il riformatore boemo che fu condannato al rogo dal Concilio di Costanza il 6 luglio 1415, della cui morte Giovanni Paolo II° chiese perdono il 28 giugno 2000. Inoltre, il presidente del Consiglio Ecumenico della Repubblica Ceca, durante il sermone commemorativo, ebbe a dire che “la testimonianza di fede di Hus lo rende una personalità degna di essere ricordata anche dopo 600 anni”.

Venendo da voi, anche noi possiamo osservare l’Europa da un’angolatura diversa dalla nostra. Abbiamo imparato da voi un modo serio per organizzare gli incontri, con metodo, con la traduzione simultanea e il rispetto degli orari, perché noi italiani, pur essendo molto creativi, non sempre organizziamo le cose al meglio.

In quegli anni voi stavate preparandovi ad entrare nell’Unione Europea, adesione non senza fatiche e contraddizioni che continuano tutt’ora in modo drammatico, sulla questione dell’accoglienza di coloro che fuggono da guerre, carestie e dittature, che forse anche noi occidentali abbiamo favorito con i nostri atteggiamenti. Attualmente siamo di fronte ad un fenomeno di proporzioni bibliche di cittadini che fuggono perché questa è l’unica alternativa alla morte di stenti o all’essere uccisi. Noi europei dobbiamo fare in modo che la nostra Europa ridiventi una casa, un rifugio, un ospedale di campo per tutti coloro che hanno bisogno, perché anche noi siamo stati stranieri: da noi in Italia si calcola che, negli ultimi cento anni, metà dell’Italia risieda in varie nazioni e l’organizzazione delle ACLI ha accompagnato i nostri connazionali nel peregrinare lungo le strade del mondo. Le ACLI, in primis quelle di Milano, si diedero da fare per aiutare i partenti, li accoglievano, li aiutavano, li organizzavano con il supporto di altre esperienze assistenziali e alcune volte anche accompagnavano quei treni che, settimanalmente, partivano dalla Stazione Centrale di Milano.

Quest’anno si parlerà di lavoro per coloro che, ad una certa età, lo perdono, per questo mi sono permesso di portarvi un opuscolo che racconta dei vecchi lavori che, nella Regione Lombardia, si facevano fino alla fine degli anni ’40, cioè la lavorazione del baco da seta che partiva dal lavoro delle singole famiglie per finire poi nelle filande che, nella nostra Regione, un tempo erano numerose.

Quest’anno le ACLI italiane compiono 70 anni, sono nate alla fine della seconda guerra mondiale come una costola del sindacato, per espresso desiderio del Papa Pio XII°: l’Italia riorganizzava la sua vita dopo il periodo della dittatura fascista. Per ricordare l’evento, Papa Francesco il 23 maggio scorso ha ricevuto in udienza circa ottomila aclisti in rappresentanza delle diverse centinaia di migliaia di nostri iscritti, proponendoci una riflessione sul lavoro, testo che abbiamo inviato ai vostri dirigenti già da qualche tempo e che è stato tradotto nella vostra lingua per una riflessione comune.

Di quel testo sottolineo alcuni passaggi:

  1. Quello che è cambiato nel mondo globale non sono tanto i problemi, quanto la loro dimensione e la loro urgenza. Inedite sono l’ampiezza e la velocità di riproduzione delle disuguaglianze. Ma questo non possiamo permetterlo! Dobbiamo proporre alternative eque e solidali che siano realmente praticabili. L’estendersi della precarietà, del lavoro nero e del ricatto malavitoso fa sperimentare, soprattutto tra le giovani generazioni, che la mancanza del lavoro toglie dignità, impedisce la pienezza della vita umana e reclama una risposta sollecita e vigorosa.
  2. Davanti a questa cultura dello scarto, vi invito a realizzare un sogno che vola più in alto. Dobbiamo far sì che, attraverso il lavoro – il «lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 192) – l’essere umano esprima ed accresca la dignità della propria vita.
  3. la vostra presenza fuori d’Italia. Iniziata al seguito dell’emigrazione italiana, anche oltreoceano, essa è un valore molto attuale. Oggi molti giovani si spostano per cercare un lavoro adeguato ai propri studi o per vivere un’esperienza diversa di professionalità: vi incoraggio ad accoglierli, a sostenerli nel loro percorso, ad offrire il vostro supporto per il loro inserimento. Nei loro occhi potete trovare un riflesso dello sguardo dei vostri padri o dei vostri nonni che andarono lontano per lavorare.
  4. E infine, ma non per importanza, il vostro impegno abbia sempre il suo principio e il suo collante in quella che voi chiamate ispirazione cristiana, e che rimanda alla costante fedeltà a Gesù Cristo e alla Parola di Dio, a studiare e applicare la Dottrina sociale della Chiesa nel confronto con le nuove sfide del mondo contemporaneo. L’ispirazione cristiana e la dimensione popolare determinano il modo di intendere e di riattualizzare la storica triplice fedeltà delle ACLI ai lavoratori, alla democrazia, alla Chiesa.
  5. Al punto che nel contesto attuale, in qualche modo si potrebbe dire che le vostre tre storiche fedeltà – ai lavoratori, alla democrazia e alla Chiesa – si riassumono in una nuova e sempre attuale: la fedeltà ai poveri. Vi ringrazio di questo incontro, e benedico voi e il vostro lavoro. Fin qui Papa Francesco

Vorrei concludere questo mio intervento ancora con una citazione di Papa Francesco che, al n. 54 della Evangelii Gaudium, descrive la situazione mondiale attuale che dobbiamo tenere presente nelle nostre scelte (cito) “in questo contesto, alcuni sostengono ancora la teoria della “caduta favorevole” che presuppongono che ogni crescita economica favorita dal libero mercato riesca a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo gli esclusi continuano ad aspettare”. La cosa che sta capitando purtroppo in tutto il mondo e non solo nel terzo mondo. Propongo che questo impegno diventi un impegno comune delle nostre due associazioni e che potremmo ampliare a tutte le associazioni europee con le quali collaboriamo e che si incontreranno in Italia nel prossimo mese di ottobre a Milano.

Ancora un grazie per l’invito che ogni anno ci rinnovate che è qualcosa di più di un invito, è un atto di simpatia che si rinnova, fatto con il cuore; grazie di tutto quello che fate per non farci sentire a disagio.